martedì 27 settembre 2016

L'altare


Nella Basilica di san Francesco ad Assisi la predicazione della novena in preparazione alla festa è affidata quest'anno a p. Gianni Cappelletto, frate minore conventuale. Nel nostro blog proporremo un settenario con degli stralci interessanti delle sue omelie, ringraziando p. Gianni per averci concesso di pubblicarle.

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3. L'altare

Gesù ha istituito l'Eucaristia «quale memoriale perenne di Lui e della sua Pasqua, ponendo simbolicamente questo atto supremo della Rivelazione alla luce della misericordia. Nello stesso orizzonte della misericordia, Gesù viveva la sua passione e morte, cosciente del grande mistero di amore che si compie sulla croce» (MV 7). 

[…] L’altare «è il simbolo di Cristo stesso, presente in mezzo all'assemblea dei suoi fedeli sia come vittima offerta per la nostra riconciliazione, sia come alimento celeste che si dona a noi» (CCC 1383). Questo spiega perché debba essere ben addobbato, perché non debba essere un tavolo su cui si appoggia un po’ di tutto; in particolare, perché venga baciato dal sacerdote e incensato quale segno di rispettosa venerazione. Sulla sua mensa, infatti, c’è l’essenziale per la vita di ogni cristiano: - la Parola, proclamata dall'ambone, quale luce che illumina il cammino e quale acqua che fa rifiorire la vita; - il Pane, forza che sostiene nel cammino e rinvigorisce nei momenti di fatica. Parola e Pane: due "piatti" dell’unica mensa. 

«La Chiesa – afferma la costituzione dogmatica Dei Verbum del Concilio Ecumenico Vaticano II – ha sempre venerato le divine Scritture come ha fatto per il Corpo stesso del Signore, non tralasciando mai, soprattutto nella sacra liturgia, di nutrirsi del pane di vita prendendolo dalla mensa sia della parola di Dio, sia del Corpo di Cristo, e di porgerlo ai fedeli» (n. 21). E noi, fedeli, siamo i beneficiari del dono della Parola e del Pane di vita. […]. 

L’Eucaristia, pertanto, non è una "aggiunta" alle tante cose che facciamo quanto il fondamento stesso della nostra vita, del nostro impegno e della nostra testimonianza nel mondo. Quando ci accostiamo al banchetto eucaristico – specie domenicale – ci veniamo portando con noi il bagaglio di un vissuto segnato anche dalla fatica oltre che dalla gioia, dalla sofferenza oltre che dalla serenità, dalla violenza oltre che dalla pace, dall'inimicizia oltre che dall'amore. 

È la "logica del mondo" ben espressa fin da Genesi 3 ove si dice che la donna VIDE che il frutto dell'albero della conoscenza del bene e del male era buono – bello – desiderabile, PRESE con le sue mani tale frutto, lo MANGIÒ e poi ne DIEDE ANCHE al marito cercando così solidarietà nel male. Delle quattro azioni richiamate, quella decisiva è il mangiare: indica appropriazione ma pure sottrazione agli altri, il che richiama la nostra fame di senso e di altre cose, un appetito che ci porta all'ingordigia di chi si appropria e sfrutta, di chi ruba e violenta pur di soddisfare se stesso e al massimo il suo piccolo nucleo familiare o dei "compagni di merenda". 

A contatto con l'Eucaristia – con la Parola e il Pane di vita – veniamo educati ad un'altra logica, quella evangelica per difendere la quale Gesù ha pagato il prezzo della sua stessa vita. Educa il nostro sguardo a VEDERE sì e pure a PRENDERE, ma con equilibrio e rispetto. Insegna a MANGIARE con moderazione per condividere con Lui e con gli altri creando comunione e solidarietà. Siamo nella logica del dono accolto e ridistribuito, del "gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente donate".

Forse non è un caso che proprio sopra e attorno all'altare della Basilica Inferiore di San Francesco – cioè attorno al mistero eucaristico celebrato sull'altare – i nostri padri abbiano collocato le cosiddette "vele" dell’obbedienza, della povertà e della castità: sono sì i voti di noi religiosi, ma sono pure una proposta valida per tutti per imparare a mettere ordine nelle relazioni fondamentali: - l’obbedienza è prima di tutto ascolto del Signore e fedeltà al suo Vangelo; esperienza mediata dai confratelli per San Francesco e per noi frati, dai propri familiari per chi vive in una famiglia cristiana… dal senso profondo del "bene comune" per chi opera in politica e nel sociale; - la povertà non è solo “privazione” di qualcosa quanto soprattutto solidarietà e – per San Francesco – restituzione dei beni a chi non ne ha o ne ha meno; - la castità è non solo rinuncia a farci dominare dalle passioni o dai desideri che mi porterebbero a sfruttare l’altra-da-me, è soprattutto investimento della sessualità e dell’affettività in favore della vita mia e degli altri, in un determinato e chiaro progetto di vita o vocazione (alla vita consacrata, al matrimonio o al vivere da single). Obbedienza, povertà e castità toccano le relazioni sulle quali tutti – e non solo preti, frati e suore – ci giochiamo il senso dell'esistenza: a noi decidere quale "stile di vita" assumere: - se volgiamo diventare "cacciatori" di Dio – degli altri – delle cose… ma cacciatori che usano violenza e sopraffazione, che rubano e si appropriano con quell'ingordigia che non dice mai "basta"… allora gireremo attorno all'altare da turisti, e anche infastiditi… - se desideriamo, invece, diventare "pastori" che, in amicizia con Gesù – buon pastore – danno la vita perché altri abbiano vita, sanno usare con saggezza e parsimonia dei beni della terra, imparano a relazionarsi con rispetto e benevolenza verso gli altri… allora sosteremo ai piedi dell’altare in contemplazione e in preghiera silenziosa: è in gioco la nostra esistenza di cristiani! 

L’Eucaristia è il momento in cui – entrando in comunione con il nostro Signore ascoltandone la Parola e cibandoci del suo Corpo – impariamo a mettere ordine in queste relazioni per testimoniare – usciti dalla "porta santa" – che è possibile ed è bello vivere secondo la logica evangelica, la logica eucaristica. Certo: c’è un prezzo da pagare, a volte anche molto alto, per viversi in ordine e costruire relazioni che ci umanizzano e che aiutano gli altri a fare altrettanto. Non è semplice, per esempio, abbassare la nostra superbia che ci fa credere di essere "dio in terra" e pertanto ci porta a non ascoltare il Signore e gli altri, ma ad agire secondo quel che piace a noi, disobbedendo non solo ai comandamenti di Dio ma pure alle minimali regole della convivenza civile. Non è agevole, poi, mettere un freno alla nostra avarizia che ci induce a tenere ogni cosa solo per noi, o l’invidia con cui demoliamo quanto appartiene agli altri, mancando così di solidarietà con i più poveri e di responsabilità verso il bene comune. Non ci è naturale, infine, tenere sotto controllo gli istinti erotico-sessuali che ci indurrebbero a sfruttare egoisticamente corpo e sentimenti degli altri, sfigurando così in noi e in loro il nostro essere immagine somigliantissima di Dio. 

Anche per affrontare con coraggio e costanza queste stonature – vere tentazioni di sbagliare strada nel realizzarci come persone e come credenti – ci viene incontro l'esperienza che viviamo attorno all'altare ove si celebra il "sacrificio eucaristico" che ci educa un po' alla volta alla "logica pasquale" del chicco di grano che dà la vita solo quando sa morire. L’aveva ben compreso quell'Autore che – ispirandosi a san Francesco – conclude la sua "preghiera semplice" con queste parole: Sì, così è: dando, che si riceve; perdonando, che si è perdonati; morendo, che si risorge a vita eterna.



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