venerdì 30 settembre 2016

Le opere di misericordia: prendersi cura delle persone


Nella Basilica di san Francesco ad Assisi la predicazione della novena in preparazione alla festa è affidata quest'anno a p. Gianni Cappelletto, frate minore conventuale. Nel nostro blog proporremo un settenario con degli stralci interessanti delle sue omelie, ringraziando p. Gianni per averci concesso di pubblicarle.
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6. Le opere di misericordia: prendersi cura delle persone

«È mio vivo desiderio che il popolo cristiano rifletta durante il Giubileo sulle opere di misericordia corporale e spirituale. Sarà un modo per risvegliare la nostra coscienza spesso assopita davanti al dramma della povertà e per entrare sempre di più nel cuore del Vangelo, dove i poveri sono i privilegiati della misericordia divina» (MV 15). 

[…] Per la stessa Porta Santa, con cui abbiamo iniziato questo percorso,  usciamo per cercare di essere – secondo le nostre possibilità – icone viventi di quanto abbiamo contemplato, secondo la logica evangelica del "gratuitamente avete ricevuto misericordia e perdono – gratuitamente donate misericordia e perdono" e secondo la logica pasquale del chicco di grano che accetta di morire perché altri abbiano la vita… e questi "altri" sono tutte le persone escluse da una società che vive secondo la logica del "prendere e mangiare" per sé, la logica dell’accaparramento e del profitto che miete sempre nuove vittime, quali i poveri, i malati, i rifugiati, gli anziani abbandonati, i bambini sfruttati… tutte persone che vengono "scartate" perché improduttive. 

Illuminati dall'esempio di San Francesco, abbiamo sperimentato in vario modo la misericordia del nostro Dio; ora – da autentica "Chiesa in uscita" – diventiamo a nostra volta misericordiosi: «Siate misericordiosi, come è misericordioso il Padre vostro» è, infatti, il motto del Giubileo che stiamo vivendo. Per diventare misericordiosi come il Padre, siamo invitati a incarnare quello che papa Francesco chiama "lo spirito del buon samaritano". Infatti, quando l’8 dicembre dello scorso anno ha ufficialmente aperto l’anno giubilare, il papa si è augurato che la Chiesa intera sappia andare incontro agli uomini e alle donne del nostro tempo «facendo propria la misericordia del buon samaritano». 

[…] È lo stesso San Francesco, infatti, nel suo Testamento, a far riferimento proprio alla parabola del buon samaritano nel rileggere il suo primo vero incontro con i lebbrosi (FF 110). Sappiamo che molte volte li aveva evitati: come il sacerdote e il levita della parabola lucana, li vedeva sì, ma preso dalla paura e dal ribrezzo che gli suscitavano, passava oltre allontanandosi in fretta. Un giorno, però, spinto dalla grazia del Signore, ne incontrò uno nella piana di Assisi, verso Rivotorto: lo vide e finalmente "non passò oltre": «gli usai misericordia» - commenta Francesco riecheggiando la risposta del maestro della legge che aveva chiesto a Gesù: "Chi è il mio prossimo?" (cf Lc 10,25- 37). E la misericordia messa in atto da Francesco è descritta dal suo primo biografo, il Celano, in questi termini: scese da cavallo, gli si accostò, gli baciò la mano infetta, gli diede un denaro (FF 592; 1034). 

Esperienza che ha radicalmente cambiato il giovane Francesco: «Quello che mi sembrava amaro – scrive nel Testamento – mi fu cambiato in dolcezza d’anima e di corpo». E di lì a poco scese verso il lebbrosario per aiutare chi – come lui – era stato toccato dalla compassione verso quelle persone, considerate gli scarti da tenere lontani. Il Poverello di Assisi ha avuto il coraggio – sull'esempio del buon samaritano – di permettere alla compassione presente in lui, di uscire allo scoperto… e si è ritrovato non “eroe per un giorno” quanto “per sempre” cristiano autentico. La compassione (o misericordia) di cui tutti siamo impastati non è un vago sentimento, non è un buonismo che ci affascina per un istante, ma è una scelta – uno stile di vita: quello del sentirci responsabili anche del bene degli altri oltre che del proprio, quello di non restare indifferenti né di scappare di fronte a chi – pure oggi – è bastonato a morte dai briganti che sono lasciati a piede libero anche dalla giustizia umana… ma di provare almeno a metterci nei loro panni: se succedesse a me di trovarmi "mezzo morto" e "abbandonato" sul ciglio della strada, cosa mi aspetterei da chi mi passa accanto? 

Fai agli altri – ci ammonisce Gesù – quello che desideri sia fatto a te in quella situazione (cf. Lc 6,31). È in nome di questa "regola d’oro" che molti – anche non cristiani o poco praticanti – si impegnano oggi con gesti di concreta carità a favore di persone "percosse a sangue" e abbandonate, “scartate”, direbbe papa Francesco. Segni concreti e belli di cui ringraziare il Signore perché ci confermano che l’indifferenza non regna sovrana: c’è ancora spazio nel cuore e nelle mani di molti per le “opere di misericordia corporale e spirituale”, gesti di bontà che rendono più umano il nostro vivere prendendosi cura di quella parte di umanità alla quale è rubato tutto – a cominciare dalla dignità di essere persone con un volto e un nome. Noi cristiani sperimentiamo ogni giorno la compassione che il Signore Gesù usa verso di noi: è Lui il nostro "buon samaritano": vede le nostre ferite, non è preso dal panico né resta indifferente, ma vi versa continuamente «l’olio della consolazione e il vino della speranza» (Prefazio comune VIII). 

Se anche questa sera siamo qui è perché tutti – in vario modo – abbiamo sperimentato la vicinanza del Signore: ci ritroviamo sì tutti feriti nel corpo e nello spirito, ma siamo riconoscenti perché Lui – mediante la sua Parola e il suo Corpo e grazie a gesti di compassione da parte di altre persone – si fa nostro compagno di viaggio per curarci, sostenerci, infonderci fiducia e speranza con cui ci testimonia: "Tu mi stai a cuore!". Da qui il nostro grazie si fa restituzione ad altri della bontà e compassione ricevuta. Molto dipende da noi: possiamo, come il sacerdote e il levita della parabola, far morire in noi la compassione mettendoci sopra la pietra tombale della paura e dell'indifferenza … oppure possiamo – ispirati dal buon samaritano e sull'esempio di San Francesco – far spazio alla compassione aprendoci con umiltà e coraggio alla vita con gesti semplici e discreti che si prendono cura della vita mortalmente ferita "nel corpo e nello spirito" di chi ci vive accanto o incontriamo sul nostro cammino. Con l’attenzione che, nelle nostre opere l’oggetto specifico della misericordia è la stessa vita umana nella sua totalità. 

Per questo, quel che ci sta a cuore è l’umanizzazione delle persone e delle relazioni che si instaurano tra esse. […] Per vivere quanto indicato è necessario riscoprire il meglio della nostra umanità, cioè lasciar spazio alla compassione e alla tenerezza di cui siamo plasmati per «dilatare il nostro cuore alla misura del cuore stesso di quel Padre misericordioso rivelatoci dalle parole e dai gesti del Signore Gesù» (Semeraro) e testimoniato dalle scelte di tanti nostri Santi. […]. 

E questo richiede l’intelligenza capace di leggere e valutare la realtà, il coraggio di compromettersi anche remando contro corrente rispetto al pensare comune, la tenacia che non ci fa girare dall'altra parte di fronte ai primi insuccessi o alle immancabili contestazioni. "Va’, e anche tu fa’ così!" – ci chiede questa sera il Signore Gesù: "gratuitamente hai ricevuto misericordia – gratuitamente rimetti in circolazione la compassione". Ci sostenga, nel desiderio di far nostro lo "spirito del buon samaritano" – ci sostenga e ci illumini l’esempio di San Francesco al quale affidiamo la nostra preghiera.

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