Nella Basilica di san Francesco ad Assisi la predicazione della novena in preparazione alla festa è affidata quest'anno a p. Gianni Cappelletto, frate minore conventuale. Nel nostro blog proporremo un settenario con degli stralci interessanti delle sue omelie, ringraziando p. Gianni per averci concesso di pubblicarle.
_______________________________________________
7. Le opere di misericordia: prendersi cura di se stessi
Quando gliene ho accennato, un mio confratello mi ha detto che sono un po’ suonato e del tutto "fuori norma". Sì, perché io sono convinto che una delle "opere di misericordia" che tiene presente il corporale e lo spirituale sia il prendersi cura di se stessi. Non in senso narcisistico del "basta che stia bene io" e "degli altri non mi interessa niente", ma nel senso di quanto afferma uno psicologo statunitense con quell’espressione: "I'm ok – you are ok; I'm not ok – you are not ok".
Se io sto bene con me stesso (e non solo "per" me stesso) creo un ambiente in cui anche l'altro-da-me – ma accanto-a-me – può star bene e crescere; ma se io non sto bene con me stesso (a livello fisico, psichico e spirituale) favorisco un clima triste e tenebroso in cui l'altro si troverà male e da cui tenterà di scappare. Ecco perché trovo non solo pertinenti quanto anche affascinanti – perché autentico itinerario di crescita umana e cristiana – le indicazioni che papa Francesco offre nella sua Esortazione Apostolica Amoris Laetitia (nn 107-108). Alla base di ogni percorso di maturazione nella fede c’è – afferma il papa – «l’esperienza di essere perdonati da Dio, giustificati gratuitamente e non per i nostri meriti. Siamo stati raggiunti da un amore previo ad ogni nostra opera, che offre sempre una nuova opportunità, promuove e stimola». Se – come ha scritto lo stesso papa Francesco – misericordia è la responsabilità di Dio nel prendersi cura di ognuno di noi, allora suo compito è quello di offrirci sempre nuove opportunità per ricominciare, per riprendere il cammino. Dio – afferma una teologa protestante italiana (Lidia Maggi) – è "il grande Ricominciatore", per cui misericordia - in Lui - è la sua infinita pazienza di farci ricominciare.
E questo perché la prima e fondamentale sua parola sulla nostra esistenza è: "Non voglio la morte del peccatore, ma che si converta e viva" (cf Ez 33,11). E questa è pure la sua parola ultima dopo ogni nostro fallimento, dopo ogni nostro passo falso, dopo ogni nostro peccato: ci fa rialzare e ci rimette in cammino. Per quante volte? Fino a settanta volte sette! È questa la nostra salvezza! Ma è anche il nostro impegno. E pure verso di noi e non solo verso gli altri. Diventare misericordiosi come il Padre (cf Lc 6,38) significa, pertanto, prenderci cura di noi stessi in modo tale da rialzarci dopo ogni caduta, di ricominciare dopo ogni fallimento, di convertirci dopo ogni peccato, e – come scrive papa Francesco nell'Esortazione citata – accettare se stessi senza condannarci, saper convivere con i propri limiti senza scaricare la colpa sugli altri o sul destino, perdonarci come il Signore ci perdona, pregare con la nostra storia – gioiosa o faticosa che sia.
E mi sembra che pure in quest'opera di misericordia del prenderci cura di noi stessi e del nostro personale cammino di crescita umana e di maturazione spirituale, Francesco d’Assisi ci sia "padre e maestro". Solo qualche richiamo, senza voler essere completo. Un primo richiamo è "riconciliarci con le proprie sconfitte". Mi riferisco ad alcune sottolineature che fa in proposito padre Dino Dozzi nel numero di giugno-luglio del "Missionario Cappuccino" (n 4,2016). La prima sconfitta con cui il giovane Francesco ha dovuto fare i conti è l’aver dovuto rinunciare ai suoi sogni di gloria diventando cavaliere: dentro a questa sconfitta ascolterà la parola del Crocifisso di san Damiano che lo rilancia nella vita con un progetto che inizia a realizzare usando misericordia con i lebbrosi.
La seconda sconfitta, verso la fine della vita, quando Francesco vive la "grande tentazione" di mollare tutto mandando a quel paese quei suoi Frati che si stanno orientando su strade diverse rispetto a quelle da lui indicate. L’esperienza vissuta sulla Verna, con il Crocifisso glorioso, gli fa capire che la "vera letizia" è usare ancora misericordia con i fratelli, accettarli come sono senza pretendere «che siano migliori» di come sono (FF 234). Stare ancora in mezzo a loro con l'esortazione: "Ri-cominciamo, fratelli" e con un atto di autentica espropriazione in quell'espressione: «Io ho fatto la mia parte; la vostra, Cristo ve la insegni» (FF 1239). Completamente riconciliato in se stesso, Francesco si espropria anche di quella pianticella nata da lui e la riconsegna a Colui che gliela aveva donata – come riconosce nel Testamento quando scrive: «Il Signore mi dette dei fratelli» (FF 116).
Davvero, come afferma il Vangelo di questa domenica (Lc 17,5-10), Francesco si ritiene "servo inutile", cioè non indispensabile e può ritirarsi dalla scena contento per aver dato il meglio di sé, come richiesto dal suo Signore. Ma sappiamo che non ha rinunciato a custodire il "bene prezioso" che gli era stato affidato e a ravvivare il dono ricevuto – sulla scia di quanto l’apostolo Paolo raccomanda al discepolo Timoteo nella seconda lettura di questa 27a domenica del Tempo Ordinario – anno C.
Un altro richiamo in cui – secondo me – san Francesco vive l’opera di misericordia del "prendersi cura di se stesso" è il momento della morte, quel "transito" che richiameremo alla memoria con la celebrazione di domani sera – qui ove è custodito il suo corpo mortale o a Santa Maria degli Angeli ove è avvenuto il fatto, la sera del 3 ottobre 1226, di sabato. Qualche sottolineatura spulciando qua e là nelle Fonti Francescane: - nel suo stile penitenziale vissuto secondo la spiritualità del suo tempo, Francesco «era durissimo con il suo corpo e quasi mai lo trattò con riguardo. Tanto che, arrivato il giorno della morte, confessò di aver molto peccato contro il suo fratello corpo» (FF 1412); - prima di morire, Francesco invia un frate da donna Jacopa dei Settesoli, nobildonna romana che gli voleva davvero bene (FF 860), per dirle che si affretti a venire a Santa Maria portando con sé – oltre a del panno grezzo per confezionare una tonaca – «un po’ di quel dolce che era solita confezionarmi quando soggiornavo a Roma» - afferma Francesco. E la Legenda Perugina commenta: «Si tratta del dolce che i romani chiamano mostacciolo, ed è fatto con mandorle, zucchero o miele e altri ingredienti» (FF 1657); - ancora, sempre in punto di morte: «Mentre i frati versavano amarissime lacrime e si lamentavano desolati, [Francesco] si fece portare del pane, lo benedisse, lo spezzò e ne diede da mangiare un pezzetto a ciascuno. Volle anche il libro dei Vangeli e chiese che gli leggessero il Vangelo secondo Giovanni, dal brano che inizia: Prima della festa di Pasqua ecc. Si ricordava in quel momento della santissima cena, che il Signore aveva celebrato con i suoi discepoli per l’ultima volta, e fece tutto questo appunto a veneranda memoria di quella cena e per mostrare quanta tenerezza di amore portasse ai frati» (FF 808); - infine: frate Francesco, «sentendo che l’ora della morte era ormai imminente, chiamò a sé due suoi frati e figli prediletti (frate Leone e frate Angelo), perché a piena voce cantassero le Lodi al Signore (il Cantico delle creature) con animo gioioso per l’approssimarsi della morte, anzi della vera vita. Egli poi, come poté intonò il salmo di David: Con la mia voce al Signore grido aiuto, con la mia voce supplico il Signore (Sal 141,1)» (FF 509).
Tutti gesti, quelli richiamati, con i quali Francesco morente si prende cura di sé, del suo stesso morire, e pure di quanto stanno vivendo i frati che lo stavano assistendo e accompagnando all'ultimo transito. Francesco “ha fatto la sua parte” fino in fondo, raggiungendo la “gloria del Signore Risorto” nella pienezza della vita. A noi chiedere a Cristo che "ci insegni" a fare la nostra parte nell'essere conformi a Lui (cf FF 1239), lasciandoci educare ogni giorno ad andare a quell'essenziale che è l’amore misericordioso del Padre per poterci riconciliare con i nostri fallimenti, risorgere dalle nostre cadute, convertirci dai nostri peccati e prenderci cura in modo sano e maturante di noi stessi. All'interno di tale esperienza rinnovata nell'ascolto della sua Parola e con la forza della sua presenza nell'Eucaristia e nel sacramento della Riconciliazione, possiamo non solo pregare con la nostra storia perché autentica "storia della salvezza" operata da Dio quanto anche accettare la nostra umanità con i suoi pregi e i suoi limiti e perdonarci perché lui ci perdona. Infatti, "eterna è la sua misericordia"! Amen!
E questo perché la prima e fondamentale sua parola sulla nostra esistenza è: "Non voglio la morte del peccatore, ma che si converta e viva" (cf Ez 33,11). E questa è pure la sua parola ultima dopo ogni nostro fallimento, dopo ogni nostro passo falso, dopo ogni nostro peccato: ci fa rialzare e ci rimette in cammino. Per quante volte? Fino a settanta volte sette! È questa la nostra salvezza! Ma è anche il nostro impegno. E pure verso di noi e non solo verso gli altri. Diventare misericordiosi come il Padre (cf Lc 6,38) significa, pertanto, prenderci cura di noi stessi in modo tale da rialzarci dopo ogni caduta, di ricominciare dopo ogni fallimento, di convertirci dopo ogni peccato, e – come scrive papa Francesco nell'Esortazione citata – accettare se stessi senza condannarci, saper convivere con i propri limiti senza scaricare la colpa sugli altri o sul destino, perdonarci come il Signore ci perdona, pregare con la nostra storia – gioiosa o faticosa che sia.
E mi sembra che pure in quest'opera di misericordia del prenderci cura di noi stessi e del nostro personale cammino di crescita umana e di maturazione spirituale, Francesco d’Assisi ci sia "padre e maestro". Solo qualche richiamo, senza voler essere completo. Un primo richiamo è "riconciliarci con le proprie sconfitte". Mi riferisco ad alcune sottolineature che fa in proposito padre Dino Dozzi nel numero di giugno-luglio del "Missionario Cappuccino" (n 4,2016). La prima sconfitta con cui il giovane Francesco ha dovuto fare i conti è l’aver dovuto rinunciare ai suoi sogni di gloria diventando cavaliere: dentro a questa sconfitta ascolterà la parola del Crocifisso di san Damiano che lo rilancia nella vita con un progetto che inizia a realizzare usando misericordia con i lebbrosi.
La seconda sconfitta, verso la fine della vita, quando Francesco vive la "grande tentazione" di mollare tutto mandando a quel paese quei suoi Frati che si stanno orientando su strade diverse rispetto a quelle da lui indicate. L’esperienza vissuta sulla Verna, con il Crocifisso glorioso, gli fa capire che la "vera letizia" è usare ancora misericordia con i fratelli, accettarli come sono senza pretendere «che siano migliori» di come sono (FF 234). Stare ancora in mezzo a loro con l'esortazione: "Ri-cominciamo, fratelli" e con un atto di autentica espropriazione in quell'espressione: «Io ho fatto la mia parte; la vostra, Cristo ve la insegni» (FF 1239). Completamente riconciliato in se stesso, Francesco si espropria anche di quella pianticella nata da lui e la riconsegna a Colui che gliela aveva donata – come riconosce nel Testamento quando scrive: «Il Signore mi dette dei fratelli» (FF 116).
Davvero, come afferma il Vangelo di questa domenica (Lc 17,5-10), Francesco si ritiene "servo inutile", cioè non indispensabile e può ritirarsi dalla scena contento per aver dato il meglio di sé, come richiesto dal suo Signore. Ma sappiamo che non ha rinunciato a custodire il "bene prezioso" che gli era stato affidato e a ravvivare il dono ricevuto – sulla scia di quanto l’apostolo Paolo raccomanda al discepolo Timoteo nella seconda lettura di questa 27a domenica del Tempo Ordinario – anno C.
Un altro richiamo in cui – secondo me – san Francesco vive l’opera di misericordia del "prendersi cura di se stesso" è il momento della morte, quel "transito" che richiameremo alla memoria con la celebrazione di domani sera – qui ove è custodito il suo corpo mortale o a Santa Maria degli Angeli ove è avvenuto il fatto, la sera del 3 ottobre 1226, di sabato. Qualche sottolineatura spulciando qua e là nelle Fonti Francescane: - nel suo stile penitenziale vissuto secondo la spiritualità del suo tempo, Francesco «era durissimo con il suo corpo e quasi mai lo trattò con riguardo. Tanto che, arrivato il giorno della morte, confessò di aver molto peccato contro il suo fratello corpo» (FF 1412); - prima di morire, Francesco invia un frate da donna Jacopa dei Settesoli, nobildonna romana che gli voleva davvero bene (FF 860), per dirle che si affretti a venire a Santa Maria portando con sé – oltre a del panno grezzo per confezionare una tonaca – «un po’ di quel dolce che era solita confezionarmi quando soggiornavo a Roma» - afferma Francesco. E la Legenda Perugina commenta: «Si tratta del dolce che i romani chiamano mostacciolo, ed è fatto con mandorle, zucchero o miele e altri ingredienti» (FF 1657); - ancora, sempre in punto di morte: «Mentre i frati versavano amarissime lacrime e si lamentavano desolati, [Francesco] si fece portare del pane, lo benedisse, lo spezzò e ne diede da mangiare un pezzetto a ciascuno. Volle anche il libro dei Vangeli e chiese che gli leggessero il Vangelo secondo Giovanni, dal brano che inizia: Prima della festa di Pasqua ecc. Si ricordava in quel momento della santissima cena, che il Signore aveva celebrato con i suoi discepoli per l’ultima volta, e fece tutto questo appunto a veneranda memoria di quella cena e per mostrare quanta tenerezza di amore portasse ai frati» (FF 808); - infine: frate Francesco, «sentendo che l’ora della morte era ormai imminente, chiamò a sé due suoi frati e figli prediletti (frate Leone e frate Angelo), perché a piena voce cantassero le Lodi al Signore (il Cantico delle creature) con animo gioioso per l’approssimarsi della morte, anzi della vera vita. Egli poi, come poté intonò il salmo di David: Con la mia voce al Signore grido aiuto, con la mia voce supplico il Signore (Sal 141,1)» (FF 509).
Tutti gesti, quelli richiamati, con i quali Francesco morente si prende cura di sé, del suo stesso morire, e pure di quanto stanno vivendo i frati che lo stavano assistendo e accompagnando all'ultimo transito. Francesco “ha fatto la sua parte” fino in fondo, raggiungendo la “gloria del Signore Risorto” nella pienezza della vita. A noi chiedere a Cristo che "ci insegni" a fare la nostra parte nell'essere conformi a Lui (cf FF 1239), lasciandoci educare ogni giorno ad andare a quell'essenziale che è l’amore misericordioso del Padre per poterci riconciliare con i nostri fallimenti, risorgere dalle nostre cadute, convertirci dai nostri peccati e prenderci cura in modo sano e maturante di noi stessi. All'interno di tale esperienza rinnovata nell'ascolto della sua Parola e con la forza della sua presenza nell'Eucaristia e nel sacramento della Riconciliazione, possiamo non solo pregare con la nostra storia perché autentica "storia della salvezza" operata da Dio quanto anche accettare la nostra umanità con i suoi pregi e i suoi limiti e perdonarci perché lui ci perdona. Infatti, "eterna è la sua misericordia"! Amen!
Nessun commento:
Posta un commento
Ciao. I commenti sono moderati dal web-master. Abbi pazienza... :-)