mercoledì 10 ottobre 2018

Echi da "Testimoni della speranza nel mondo"


In Zambia i bambini corrono liberi sulla terra rossa delle strade non asfaltate dei villaggi. Corrono tra le case dai tetti di lamiera e tra i rami secchi degli arbusti senz'acqua. Corrono e cantano canzoni dai ritmi allegri e incalzanti. 
La giornata dei bambini inizia molto presto. La maggior parte delle case è senza corrente elettrica e senz'acqua e dunque la vita segue la luce del sole.
Le donne iniziano a cucinare lentamente sul fuoco e gli uomini lasciano le case all'alba per raggiungere le miniere o i cantieri dove lavorano.

“Bye bye Ba Musungu”
Così ci salutava la piccola Martha dopo aver mangiato il suo pasto al centro nutrizionale di Da Gama.
“Musungu”, uomo bianco, anticipato dalla parola “Ba” in segno di rispetto. La piccola Martha era al tempo stesso attratta e terribilmente spaventata dai nostri volti così pallidi in confronto alla sua bella pelle nera.
“Musungu! Musungu!” così i bimbi dei villaggi ci accoglievano felici.
Sono poche le persone che ricordano il vero significato di questa parola. “Musungu”, ciò che ti avvelena, ti infetta. La parola che oggi viene usata per chiamare un uomo bianco, ha la sua origine al tempo della colonizzazione dei bianchi in terra africana. I bianchi che arrivavano e avvelenavano la cultura africana con la cultura europea.

Essere missionario in terra africana significa entrare in punta di piedi in una cultura profondamente diversa dalla nostra; entrare silenziosamente nelle vite di persone che a lungo hanno sofferto spesso anche a causa di uomini europei, come noi.
Essere missionario significa prima di tutto “Stare”. Questo verbo che apparentemente ha poco significato, nasconde dietro di sè una vastità di sinonimi. 
Stare è un atteggiamento del corpo che presuppone l’esserci fisicamente, il partire e abitare in una terra straniera. 
È un atteggiamento della mente che coinvolge il pensiero e l’attenzione. 
Stare è una dimensione temporale in quanto significa dedicare del tempo.
Stare è una caratteristica del cuore. “Sono qui, ci sono e ti ascolto”.
In una cultura, come la nostra, improntata sul fare e sul dover dimostrare sempre qualcosa, la logica dello Stare è ritenuta una follia. Prima di agire, prima di costruire, prima di lavorare, io ci sono, io sto.

I frati e le suore Francescani del centro di formazione missionaria italiano, da due anni organizzano un iter di formazione rivolto a tutti i giovani d’Italia che sentono il desiderio di fare un’esperienza missionaria all’estero. Gli incontri a cadenza mensile si sono svolti nelle città di Padova, Milano ed Assisi ed hanno impegnato i giovani dal mese di novembre al mese di maggio.
Gli interventi e gli spunti di riflessione proposti avevano l’obiettivo di accompagnare il gruppo alla condivisione, alla consapevolezza dei propri limiti e al discernimento.

Siamo partiti per lo Zambia in tre, accompagnati da sr. Francesca. Durante i venti giorni di permanenza siamo stati ospitati da tre missioni gestite dalle Suore Francescane Missionarie di Assisi. Abbiamo visitato le realtà del luogo offrendo il nostro aiuto nello svolgere le più disparate attività. Abbiamo prestato servizio presso la farmacia dell’ospedale di Ibenga e aiutato le donne del villaggio dei lebbrosi a raccogliere le uova nel pollaio.

L’esperienza più sorprendente l’abbiamo vissuta presso la missione di Da Gama, dove ha sede la scuola per bambini e ragazzi con disabilità. In questo luogo abbiamo toccato con mano la fraternità vera e l’aiuto reciproco. Bambini con gravi disabilità fisiche o mentali qui vivono e studiano occupandosi in prima persona della pulizia degli spazi comuni e dei pochi vestiti che ciascuno possiede. Il programma di studio è molto fitto e rigoroso, ma nei momenti liberi non mancano mai i balli, i canti e le risate. Bambini senza gambe giocano a calcio e si sfidano in gare di corsa; ragazzine in sedia a rotelle si acconciano i capelli e parlano di primi amori.

Guidati dalle suore durante il loro servizio, abbiamo visitato i centri nutrizionali per i bambini più poveri delle zone rurali. Qui abbiamo giocato con i bambini e aiutato a servire un umile pasto caldo. Abbiamo assistito alle visite per il monitoraggio dei bambini affetti da malnutrizione e in silenzio abbiamo sofferto vedendo bimbi al di sotto della soglia di massima gravità.

Portiamo nel cuore l’immagine delle manine alzate dei bambini dell’orfanotrofio di St. Antony, manine di bimbi che disperatamente chiedevano di essere presi in braccio e tenuti stretti. 
Portiamo nel cuore il sorriso e la fede delle suore che ci hanno teneramente accolto e ospitato.
Portiamo nel cuore la bellezza del donare e ricevere gratuitamente e dell’amare il prossimo come Dio ci ama.

Martina e Lorenzo


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